11 minuti di letturaBuchi neri e premi Nobel per la fisica 2020
Quest’anno mezzo premio Nobel per la fisica va a Roger Penrose, celebre fisico teorico che tra le varie cose che ha fatto ha prodotto alcuni risultati interessanti sulla teoria della relatività generale e per questo gli è stato assegnato il Nobel. L’altra metà è stata assegnata a Reinhard Genzel (professore e ricercatore del Max Planck Institute di Garching, in Germania) e a Andrea Ghez (professoressa e ricercatrice della University of California). I gruppi di ricerca guidati da Genzel e Ghez hanno studiato, dal 1990 in poi, il moto delle stelle attorno al centro della Via Lattea e hanno concluso che la sorgente al centro della nostra galassia (chiamata Sagittarius A*) fosse un oggetto compatto supermassiccio di qualche milione di masse solari – praticamente, a quanto ne sappiamo, un buco nero.
Prima di entrare nel dettaglio, due veloci considerazioni. Prima considerazione: anche quest’anno il Nobel della fisica finisce all’astrofisica. Più che essere una cosa di cui vantarsi o speciale, in realtà credo sia la semplice constatazione di come ormai l’universo sia sempre più diventato un grande laboratorio a disposizione di tutti coloro che fanno ricerca, dalla biologia alla chimica, passando per la fisica fondamentale. Seconda considerazione: un’astrofisica ha vinto il premio Nobel per la fisica, finalmente. In generale, questo premio Nobel era stato vinto finora solo da Marie Curie nel 1903, Maria Goeppert-Mayer nel 1963 e Donna Strickland nel 2018. Andrea Ghez entra in un club finora esclusivo ma la frequenza di premi Nobel per la fisica assegnati in quest’ultimo decennio fa ben sperare per i prossimi anni.
E adesso, cerchiamo di capire che cosa hanno fatto Penrose, Genzel e Ghez per meritarsi il premio Nobel per la fisica 2020.
La storia del collasso gravitazionale
La storia parte dal 1916. Poco dopo la pubblicazione da parte di Albert Einstein della teoria della Relatività Generale, subito la gente nel mondo si mette a fare dei conti. Per esempio, Karl Schwarzschild, proprio nel 1916, calcola una soluzione alle equazioni della Relatività Generale che, appunto, si chiama soluzione di Schwarzschild. La Relatività Generale dice che la gravità è la manifestazione della curvatura dello spaziotempo a causa della presenza di una massa: ovvero, se c’è una massa da qualche parte, la misura di distanze e intervalli di tempi sarà diversa rispetto a una parte di un universo in cui non c’è massa. La soluzione che trova Schwarzschild risponde alla domanda: com’è fatto lo spazio tempo attorno a una massa a forma di sfera e che non ruota affatto?
È il caso più semplice possibile, vero, ma in realtà ci sono un sacco di rogne nella soluzione di Schwarzschild. Per esempio, sembrano esserci due punti, uno dove la distanza dal punto in cui si trova la massa è zero e uno in cui la distanza dalla massa ha un certo valore che dipende solo dalla massa (distanza chiamata poi raggio di Schwarzschild) in cui alcune quantità fisiche diventerebbero infinite. Urca: che significa? Hanno un significato fisico questi valori infiniti oppure sono solo artefatti matematici?

Già, perché la Relatività Generale, come tutte le teorie fisiche, richiede la scelta di un sistema di coordinate. Per esempio, una cosa è vedere le cose fermi in piazza, un’altra è vedere le cose mentre si è a bordo di un auto che sfreccia in curva. Se l’auto va veloce in curva, per esempio, tutti gli oggetti sul cruscotto sono buttati via verso l’esterno della curva. Ma non è magia: è solo che stiamo considerando la fisica da un sistema di riferimento diverso rispetto a chi è fermo in piazza e guarda tutto da fuori.
Allora si potrebbe dire: magari le robe infinite della soluzione di Schwarzschild dipendono dal sistema di coordinate scelto? Purtroppo la risposta è no. Sono rogne fisiche, non solo matematiche. Qualche anno dopo, nel 1963, il fisico Roy Kerr studia una soluzione della Relatività Generale in cui la massa sferica stavolta ruota. Ci sono sempre le robe infinite, però.
Voi direte: va bene, ma qual è il problema? Se ho una massa molto grande, o almeno più grande del suo raggio di Schwarzschild il problema non si pone. Infatti per esempio, il Sole ha un raggio di Schwarzschild pari a 3 km, ma le dimensioni effettive del Sole sono quelle di una stella con un raggio di 700 mila km, quindi chissene del raggio di Schwarzschild.
Ma se invece una stella collassa? Se tutto il gas di cui è fatta una stella inizia a cadere verso il centro della stella? In questa situazione di collasso, se niente frena il meccanismo, allora tutta la materia oltrepassa il raggio di Swarzschild e, qualunque cosa accada, dobbiamo fare i conti con il fatto che secondo la Relatività Generale la densità diventa infinita.
Quindi alla fine il raggio di Schwarzschild è un indicatore che stiamo entrando in una regione al cui centro c’è una densità infinita: questo punto è detto singolarità e la regione che circonda la singolarità è detta buco nero.
La scoperta dei quasar: c’entrano i buchi neri?
Nel 1959 viene pubblicato il Third Cambridge Catalog of Radio Sources, chiamato 3C, e alla posizione 273 c’è un oggetto celeste, nominato appunto 3C 273 che è una sorgente di onde radio. A quanto pare però poi si scopre che 3C 273 può essere osservata anche nell’ottico (alle lunghezze d’onda della luce visibile) e in un primo momento associata a una non ben definita sorgente stellare.

Nel 1963 però, dallo studio delle righe di luce di 3C 273, gli astrofisici Maarten Schmidt e Bev Oke si rendono conto che quell’oggetto non appartiene alla nostra Via Lattea. Per questo 3C 273 fu classificato come QUASAR, cioè QUasi StellAR object, una stella che non lo era, insomma. Questo quasar 3C 273 è estremamente luminoso e poi emette anche una gran quantità di onde radio (poi anche di raggi-X, si scoprirà nel 1970…): che sta succedendo lassù o laggiù come preferite?
A qualcuno venne in mente questa idea: può essere che una gran quantità di massa sia collassata, dove per gran quantità di massa si intende milioni o centinaia di milioni di volte la massa del Sole. Questo collasso, fino alla scala del raggio di Schwarzschild di quella massa, produrrebbe una quantità di energia stratosferica che verrebbe emessa sotto forma di radiazioni.
Sembra una buona idea, ma c’è un problema. La soluzione di Schwarzschild funziona solo per un problema ideale, cioè per una massa sferica non rotante. Risulta difficile pensare che una situazione reale e complessa come sarebbe quella di un quasar sia proprio una situazione ideale. Ovvero magari quando la situazione è realistica entrano in gioco dei processi fisici per cui un collasso non porta alla formazione di un buco nero e di una singolarità; magari quindi tramite il collasso gravitazionale non si riesce a produrre abbastanza energia per alimentare i quasar.
Non è un dubbio nuovo: lo stesso Einstein e anche i fisici Oppenheimer e Snyder (tutti e tre nel 1939) pensavano questa cosa. Infatti se si prende una distribuzione sferica di massa, si usa la soluzione di Schwarzschild e la si fa collassare, ecco la singolarità. Ma in una situazione non simmetrica, chi ci dice che la massa sia in grado di collassare fino a concentrarsi in un unico punto di singolarità? Infatti, nel 1963 Evgeny Lifshitz e Isaak Khalatnikov, due fisici sovietici, pubblicarono un articolo in cui trovano soluzioni alle equazioni della Relatività che non porterebbero necessariamente a un collasso gravitazionale. Quindi se si vuole un collasso gravitazionale in circostanze reali e poco simmetriche è possibile, ma non è per forza detto che avvenga.
E qui che entra in gioco Roger Penrose.
Sono Mr. Penrose e risolvo problemi (con i buchi neri)
Il 18 dicembre 1964, a 33 anni Roger Penrose invia un articolo alla rivista scientifica Physical Review Letters. L’articolo si intitola “GRAVITATIONAL COLLAPSE AND SPACE-TIME SINGULARITIES” cioè “Collasso gravitazionale e singolarità dello spazio-tempo”. L’articolo verrà pubblicato un mese dopo, il 18 gennaio 1965: sono 3 pagine, o meglio 6 colonne e un disegno. Che cosa scrive Penrose in questo articolo? Affronta il problema del possibile uso della teoria del collasso gravitazionale per spiegare come funzionano i quasar.
Penrose dice: vogliamo pensare che l’energia emessa dai quasar sia il risultato di un qualche processo che coinvolge il collasso gravitazionale di una grandissima massa? Bene, però non siamo nel caso ideale e simmetrico del collasso di Schwarzschild e nemmeno in quello ideale e simmetrico di Kerr tutto sommato.
Tuttavia, fa notare Penrose nel suo articolo, per il problema dei quasar alla fine a noi le simmetrie come punto di partenza interessano poco. Penrose fa solo un’assunzione fondamentale: parliamo di materia che energia non-negativa, come per esempio la materia ordinaria. Quando il collasso prosegue fino ad arrivare a scale molto piccole, tipo (ma non per forza nel caso generale) il raggio di Schwarzschild, Penrose fa vedere nel suo articolo che si può determinare una superficie – chiamata da lui trapped surface – che circonda la materia collassata da cui i raggi di luce anziché uscire, entrano e si muovono verso il centro della sfera. Praticamente il contrario di ciò che succede con una sfera, diciamo così, normale, ovvero tempo e spazio invertono i loro ruoli. Questo accade, lo sottolineo, perché qua stiamo spingendo con la matematica della Relatività: quindi non preoccupatevi se vi sembra strano, è perfettamente normale che sia strano.
Anche la Via Lattea ha un buco nero al centro
Questo ha portato a diversi sviluppi nel mondo dell’astrofisica. Si è capito, per esempio, che diverse oggetti classificati in modi diversi, quasar, radiogalassie, galassie di Seyfert e altri, erano tutti lo stesso fenomeno: galassie con buchi neri molto grossi al centro.
Queste galassie, chiamate attive, però emettono tutte un sacco di radiazioni: questo perché c’è della materia che si scalda poiché cade sul buco nero ed emete quindi luce a varie frequenze.
Anche la nostra Via Lattea ha un buco nero molto grosso al centro. Però, la Via Lattea non è una galassia attiva (e meno male, probabilmente!). Questo rende più difficile dimostrare che effettivamente questo buco nero, detto supermassiccio, in realtà ci sia. E qui veniamo alla seconda metà del premio Nobel per la fisica 2020, quello assegnato a Genzel e a Ghez.
I gruppi di ricercatrici e ricercatori guidati da Genzel e Ghez hanno osservato il moto delle stelle attorno al centro della Via Lattea e hanno osservato ciò che vedete in questo video.

Ma cosa ne faremo di questi buchi neri supermassicci?
C’è un filo che lega i secoli e le menti che hanno avuto dubbi e messo in discussione lo stato delle cose con idee ed esperimenti continui, senza mai dare nulla per scontato e con collaborazioni vaste. E il premio Nobel di quest’anno rinforza sempre più quel filo.
— Suggerimenti di lettura
Buchi neri – Viaggio dove il tempo finisce, un libro di Elisa Nichelli
Comunicato stampa dell’assegnazione del Premio Nobel per la fisica 2020
Bellissimo ed esaustivo che potrebbero apparire ostici a molti ma che spiegati in questo modo semplice e scorrevoli diventano semplici anche per i neofiti.
Grazie!